Perché in Russia e in Kazakistan si canta “Sono un italiano vero” di Toto Cutugno
Spesso mi viene chiesto: “Ma non è difficile lavorare con i russi, con quei paesi? Sembrano così seri, decisi e severi”. Molte persone hanno questa immagine e, mentre parlano, mostrano in viso tutti i dubbi e quasi una sorta di riluttanza all’idea …
D’altro canto il Made in Italy in Russia e nei paesi del mondo russo rimane il TOP in tutti i settori. L’italia rimane una delle mete preferite, come preferiti rimangono il nostro cibo e la nostra musica, perfino quella che a noi risulta “superata” di Al Bano, Toto Cutugno, i Ricchi e Poveri, Pupo.
Ma come si spiega tutto ciò? Un popolo percepito come “duro e severo” ma che ci ama così tanto.
La storia ci aiuta sempre, perché non si può mai dare una interpretazione senza conoscere il contesto, anche quello storico e più lontano.
I popoli russi hanno intrapreso dall’inizio del XVIII secolo una vera e propria “corsa alla conquista dell’Ovest”. Fino a quel momento (erano i primi anni del 1700) avevano subito il lungo e terribile dominio dei Tartari durato circa 200 anni, fino al 1480 circa, dominio che ha tenuto la popolazione in uno stato pari a quello dei servi della gleba alto-medievali. Le successive lotte tra i principi di origine scandinava che erano saliti al potere dopo la scacciata dei Tartari avevano, ancora una volta, impedito al popolo di evolversi in un momento storico in cui in Europa la letteratura e la scienza si sviluppavano. Per fare qualche esempio, Ivan il Terribile (1530-1584) governava la popolazione in un clima di terrore. Fece costruire la bellissima cattedrale di San Basilio, simbolo della Piazza Rossa, ma ne fece accecare l’architetto, per impedirgli di replicarla. Mentre in Europa si sviluppava l’Umanesimo e in Italia fiorivano le opere di Leonardo, Michelangelo, Caravaggio, Palladio e Tiepolo (per citarne alcuni a caso), il popolo russo viveva nel terrore e in condizioni pietose. Era chiaro che l’invasione dei Tartari (Mongoli) durata circa 200 anni e il successivo governo dei principi scandinavi avevano ritardato lo sviluppo di questa civiltà. Che si ritrovò con Pietro I il Grande, nel 1700, a “ingurgitare” in un colpo solo Illuminismo e Romanticismo.
Pietro Il Grande capì lo stato di sottosviluppo del suo popolo e per questo cercò di fare il massimo che potè per recuperare. Fece un viaggio in incognito in Europa, per imparare quanto più poteva dalle maggiori corti dell’epoca. Si rese conto che nelle città russe mancavano scuola, professionisti, Università, banchieri, medici, ingegneri, insegnanti. In Russia non si pubblicavano giornali. Non circolavano libri stranieri o laici. Non c’era un esercito sufficientemente addestrato. Per questo, al suo ritorno fece cambiare lo stile degli abiti russi e impose a tutti i boiari il taglio della barba. Mandò le sue menti migliori a studiare in Europa, in Italia in particolare. Lo scopo era quello di recuperare tutto il tempo perduto. Fece costruire in pochissimi anni San Pietroburgo, ma volle che i suoi architetti si fossero formati prima in Europa e in Italia. Riformò anche l’alfabeto cirillico ecclesiastico, allora in uso e lo fece sostituire da 33 caratteri tipografici, favorendo lo sviluppo di pubblicazioni laiche, a sostegno di scienze come la letteratura, la poesia, la geometria, la medicina, non più solo religiose.
Dopo le riforme di Pietro il Grande, il popolo russo ha patito altre sottomissioni e difficoltà. La servitù della gleba è stata abolita solo nel 1872. Le dittature di Lenin e di Stalin hanno limitato la libertà di espressione di un popolo che ha da sempre una grande voce e un animo nobile. Basti pensare alla sua letteratura.
Ecco, secondo me, alcune delle radici storiche dell’amore di questo popolo per il made in Italy. Amore che parte da molto lontano. Che parte da una forte urgenza di liberarsi e che ha trovato in Italia la bellezza della nostra arte, della nostra architettura e la capacità di fare bene ciò che facciamo. Amore che ci è riconosciuto da tutto il mondo, ma da questo popolo in particolare.
Gli stereotipi mentali legali a questa cultura, rafforzati da una lontananza linguistica e culturale sono interpretabili diversamente se si parte da qualche dato storico, come quelli che io ho solo parzialmente accennato. Diventano molto deboli man mano che ci si rapporta perché si scopre un modo di lavorare e di ragionare che noi italiani stiamo perdendo.
Ecco perché fare export significa non solo conoscere una lingua, ma un popolo, la sua mentalità e la sua storia, da cui tutto è iniziato e che molto spiega.